“Insegnare è un po’ come passare la torcia, la conoscenza e il tuo know-how alla prossima generazione. Fa parte del contributo alla comunità scientifica”

Michela è sempre stata affascinata dalla fisica, ma è stato dopo aver scoperto la relatività speciale e l’elettromagnetismo durante il suo ultimo anno delle superiori che si è detta “ok è interessante, voglio saperne di più”. Ha deciso di proseguire i suoi studi universitari in Fisica e a tuttƏ coloro che erano scettici sui possibili sbocchi lavorativi nel settore, lei con convinzione, e per scherzare, rispondeva che un giorno avrebbe lavorato alla NASA. Al tempo, non aveva mai pensato di fare un dottorato, non si sentiva all’altezza e l’idea di dover lavorare potenzialmente a ogni ora, non faceva per lei. Così decise di tentare la strada aziendale con un internship presso la Thales Alenia Space. Un’ottima esperienza, soprattutto perché le ha fatto capire quanto in realtà le piacesse fare ricerca.

“Mi sono resa conto che quello che mi mancava era fare un lavoro per rispondere a una domanda, con il solo fine di voler sapere qual è la risposta”.

Le mancavano lo spirito e il metodo di ricerca universitario e superato il test d’ingresso, ha iniziato un dottorato in Fisica e Astrofisica a Torino. Ha lavorato sul progetto Fermi, un telescopio spaziale mediante cui è possibile osservare e studiare radiazioni ad alta energia e così, ha iniziato ad occuparsi della High Energy Astrophysics (HEA). Grazie alla natura internazionale del lavoro scientifico in cui era coinvolta, ha avuto l’opportunità di viaggiare, la parte che più l’ha motivata a rimanere nella ricerca. In uno di questi viaggi è venuta a conoscenza della possibilità di potersi candidare per il NASA Postdoctoral Program e quelle parole che per scherzare aveva detto anni prima, l’hanno accompagnata per tutti gli anni in cui ha lavorato presso il NASA Goddard Space Flight Center, vicino Washington DC.

“Era l’esperienza all’estero che volevo fare, ma non avevo messo in conto di rimanere qui, sono stata trascinata dagli eventi”.

Dopo quattro anni, si è ripresentato il fatidico momento del “e ora che vuoi fare?”. Ha iniziato a valutare l’idea di diventare professoressa universitaria e negli Stati Uniti, ha realizzato l’importanza di inviare candidature indipendentemente dalla perfetta corrispondenza del proprio profilo alla posizione lavorativa. Una cosa che le donne tendono a fare meno, assieme alla richiesta di aumento di stipendio che, se in Italia non è comune, lì è prassi. Attualmente lavora alla Louisiana State University (LSU) come ricercatrice e professoressa. Quest’ultima è per lei un’attività nuova, che le piace molto, e per la quale le hanno dato una start-up, una somma di denaro mediante cui poter assumere studentƏ post-doc e magistrali.

“Negli USA, oltre a darti una buona posizione, ti danno la possibilità di eccellere, di creare un gruppo e di fare il lavoro. È gratificante, credono in quello che faccio”.

Per i primi due anni ha tenuto un corso introduttivo sul sistema solare, mentre in autunno inizierà un corso che sta costruendo, un’introduzione al Machine Learning. Una tecnica di analisi dati che sta prendendo piede esponenzialmente e “che genera output da degli input, senza spiegare cosa sia successo nel mezzo”. Michela vuole spiegarne la matematica e il meccanismo che vi è dietro, in modo che studentƏ ne capiscano possibilità e limiti.

“Insegnare è un po’ come passare la torcia, la conoscenza e il tuo know-how alla prossima generazione. Fa parte del contributo alla comunità scientifica”.

In parallelo si occupa di ricerca, che è centrale nel suo lavoro. Attualmente lavora su diversi casi scientifici nel campo della HEA e della Multimessanger Astrophysics. E ultimamente, è particolarmente interessata allo studio dei magnetars, delle stelle di neutroni che risultano essere la materia più compatta e densa che si possa immaginare.

“I magnetars sono oggetti pazzeschi e affascinanti da immaginare come se la stessa massa del sole fosse concentrata in una sfera, che ha la dimensione di Torino”.

Un ambiente così estremo da spingere la materia e le radiazioni in regimi in cui le leggi della fisica che conosciamo potrebbero iniziare a dissolversi. Nel suo lavoro, Michela continua ad imparare come approcciarsi alla scienza. E se un tempo si chiedeva quale contributo avrebbe mai potuto dare, oggi ha capito che ci sono molti modi per contribuire a livello individuale e, anche se non tutti possono essere considerati rivoluzionari, possono comunque fare la differenza. Soprattutto perché oggi, ogni scoperta è un merito condiviso. 

La differenza principale tra l’Italia e gli Stati Uniti è una e semplice: la presenza di opportunità lavorative. Infatti, in Italia, non sa quante possibilità avrebbe avuto di diventare professoressa universitaria dopo così poco tempo. Tuttavia, ci sono degli aspetti del sistema universitario italiano che preferisce, come l’auto responsabilizzazione di studentƏ nello studio. Michela non si sarebbe mai aspettata di vivere negli Stati Uniti dove tanti aspetti sono proprio come si vedono nei film, e usa la macchina per ogni spostamento – ci sono sportelli drive-through per il caffè, per ritirare i farmaci e persino, per prelevare denaro in banca. Attualmente vive a Baton Rouge, in Louisiana, famosa per la particolare cultura cajun e caratterizzata da un forte senso di comunità, essendo una zona che spesso viene colpita dagli uragani.

“Mi piace questo aspetto culturale e di tradizione, che è un po’ unico rispetto agli Stati Uniti ed è molto europeo”.

Inizialmente l’ostacolo più grande è stato la lingua e non nel lavoro, ma nella vita di tutti i giorni. Ha iniziato a fare molte attività per fare amicizia, come fare hiking, che lì è molto comune e che lei – pur provenendo da una città delle Alpi – non aveva mai fatto. Lì è tutto molto programmato, e dell’Italia le manca l’idea di poter improvvisare le uscita con amicƏ, e la cultura del ‘andiamo a prenderci un caffè’. Un aspetto di italianità che ha deciso di portare in ufficio con una macchinetta del caffè, ricreando quel rituale sociale che le piace molto. Le mancano inoltre le piazze, fare una passeggiata e poter raggiungere a piedi o con un mezzo la via principale della città.

Al momento Michela vede il suo futuro negli Stati Uniti. Alla LSU si trova bene, soprattutto con colleghƏ, e lì l’università fa tutto il possibile per sostenere proprƏ docenti junior nel percorso verso la cattedra. In più in Louisiana, molte persone vivono in condizioni di difficoltà economica e, per lei, contribuire alla formazione della prossima generazione di scienziatƏ lì, è particolarmente significativo. Allo stesso tempo, non vuole chiudere nessuna porta davanti a sé, non l’ha mai fatto.