“L’ho cercata in tutti i modi questa opportunità di costruirmi un’altra vita, una migliore. Il dottorato è stato ciò che mi ha permesso di farlo”

Loris è di Shkodër – una piccola città dell’Albania – ma se la sentiste parlare, non direste mai che vive in Italia solo da due anni. Lì, i canali televisivi italiani sono molto popolari ma non sono né tradotti, né sottotitolati e dopo un po’ si inizia a capire l’italiano e anche a prendere l’accento.

“Io conosco tutto il trash italiano e il mondo dei media, insieme a tutta una generazione di cantanti come Celentano, Romina e Eros Ramazzotti!”.

Però Loris, l’italiano, l’ha anche studiato sin da bambina, da autodidatta o con l’aiuto della mamma che le ha sempre ripetuto come la conoscenza delle lingue straniere le avrebbe dato l’opportunità di comunicare con persone di diversi contesti. Ma se questo era un obbligo, ciò che più la divertiva erano gli esercizi di matematica, che ha sempre preso come un gioco. Una predisposizione che crescendo, si è trasformata in passione per la materia e il suo insegnamento. Ha deciso di intraprendere i suoi studi universitari prima in Matematica, e poi in Educazione della Matematica, per cui si è trasferita a Tirana. Terminato il percorso magistrale, avrebbe voluto lavorare o fare ricerca nella capitale – città più europea rispetto alle altre – ma al tempo, era tutto chiuso. Così, ha deciso di tornare a Shkodër, dove ha iniziato a lavorare in una scuola media privata.

“Per me insegnare è una professione un po’ sacra perché, dopo il genitore, viene l’insegnante che deve guidare e educare la prossima generazione”.

Tuttavia, la sua passione e i suoi valori non si rispecchiavano con quelli della scuola e, delusa, ha deciso di lasciare. Ha realizzato che la figura dell’insegnante non aveva più l’importanza di un tempo, e ciò l’ha portata ad un periodo di desolazione. Ha iniziato a lavorare in una compagnia italiana che si occupa di spedizioni doganali, dedicandoci gran parte del suo tempo. In poco, è diventata molto brava e veloce, ma anche “un fantasma di me stessa”. Ha continuato a credere nel suo percorso in matematica e in parallelo al lavoro, ha iniziato un tirocinio che le avrebbe permesso di ottenere la licenza per insegnare nelle scuole pubbliche. Ma una volta ottenuta, è venuta a conoscenza della drastica situazione lavorativa di Shkodër dove l’alto tasso di emigrazione aveva determinato che vi fossero pochissimƏ bambinƏ nelle classi, e che molte scuole avevano chiuso del tutto. Delusa nuovamente, comprese che era giunto il momento di aprirsi a nuove possibilità.

“Siccome non vedevo più via di uscita, o qualcosa che mi tratteneva in Albania, ho iniziato a cercare per andare all’estero”.

È venuta a conoscenza di un ufficio che aiutava studentƏ ad emigrare in Italia dove, le hanno proposto di fare un dottorato. Decise di provarci, dando il via a una serie di corse contro il tempo per ottenere il visto per motivi di studio e presentare domanda. Per poterlo ottenere, l’ambasciata italiana chiede che vi sia qualcunƏ sul territorio che faccia da garante e viva entro 100 km dall’università. Oltre a un certificato di lingua italiana, la traduzione e convalida delle qualifiche universitarie e un deposito di seimila euro sul conto corrente. Soldi che vengono congelati fino a quando si ottiene il permesso di soggiorno in Italia con la quale si può aprire un conto corrente. Fortunatamente, Loris ha una zia che vive a Forlì a cui ha potuto appoggiarsi e così, è riuscita a presentare domanda di dottorato presso l’Università di Bologna. Inizialmente, è risultata idonea ma non vincitrice del posto di dottorato e, sconfortata, ha deciso di continuare il lavoro in azienda, e di accettare una proposta di lavoro in una scuola in modo da mettere abbastanza risparmi da parte per poter andare via, in un’altra occasione.

“Io insisto tantissimo fino ad ottenere quello che voglio e, a volte, fino a distruggere me stessa. Ogni minuto era per me un centesimo di quel capitale che mi serviva per andare via”.

Tuttavia, dopo giorni, le è stato comunicato che era risultata vincitrice del posto e con una borsa di studio. Non poteva crederci, era felicissima. Loris è arrivata in Italia nell’ottobre del 2023. Per il primo mese, ha vissuto dai suoi familiari e al contrario di ciò che pensava, l’università non l’ha aiutata con i documenti, o la ricerca della casa. Senza la zia non sa come avrebbe fatto ad ottenerli e per tutto questo, le è molto grata. Dopo alcuni mesi, ha trovato casa a Bologna, le è arrivato il permesso di soggiorno ed è riuscita ad aprire un conto corrente italiano. Finalmente, poteva smetterla di andare in giro “con le mazzette sotto i vestiti”, e iniziare a costruirsi la sua vita.  

Loris sta conseguendo un dottorato in Didattica della Matematica, e lavora su un progetto che mira alla creazione di classi inclusive per studentƏ con disabilità visive attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie. Persone che spesso non vengono prese in considerazione nei diversi rami della didattica e della ricerca e per cui vi è sia poca letteratura, che pochi casi studio. Un vuoto che cerca di colmare.

“Non è detto che la prospettiva di una persona vedente sia sempre quella giusta, infatti, ci sono diversi modi per interpretare lo stesso concetto matematico”.

Obiettivo del progetto, è quello di identificare delle tecniche nella didattica che siano pienamente inclusive nei confronti dei diversi sottogruppi a cui appartengono le persone con disabilità visive, utili alla loro interazione con il resto della classe e che possano essere anche applicate all’intera classe stessa. La mancanza di una base teorica è una delle principali difficoltà, insieme alla delicatezza del tema trattato per cui, prima di fare interventi nelle classi o esperimenti vi è il bisogno di diverse autorizzazioni. Spesso Loris si chiede se tre anni siano abbastanza per fare tutto, ma è fiduciosa.

“Non miro a risolvere tutti i problemi delle persone ipovedenti, ma a poter raggiungere il blueprint, qualcosa che possa dare inizio a un nuovo ambito dentro la didattica”.

A Bologna, la didattica non è presente come ambito di ricerca e al momento se ne occupano soltanto lei e il suo supervisor. Infatti, durante il primo anno, ha dovuto recarsi in diverse città per seguire corsi e seminari. Tuttavia, per lei la riapertura di questo posto è stato “un po’ un segno del destino, un po’ una fortuna” e non solo per fare carriera in matematica, ma soprattutto dal punto di vista umano e personale in quanto donna. A Bologna, ha iniziato a vivere la vita che da tempo desiderava, lontana dalla mentalità chiusa che in Albania è ancora molto diffusa sulle donne, e il loro ruolo nella società. Una visione che le è sempre stata stretta e per cui, ha colto diverse opportunità affrontando tutto esclusivamente con le sue forze.

“L’ho cercata in tutti i modi questa opportunità di costruirmi un’altra vita, una migliore. Il dottorato è stato ciò che mi ha permesso di farlo”.

Lei sarebbe entusiasta di dare il suo contributo alla didattica e alle persone ipovedenti in Albania, ma non ci tornerebbe a vivere. Del suo paese, le manca molto la sua famiglia, il cibo cucinato dalla mamma e la lingua anche se crede che, quando si cambia paese, viene fuori un’altra parte del proprio essere. E questo, le piace molto. Bologna le piace, soprattutto per i rapporti che è riuscita a creare, e per essersi sentita sempre accolta. Ma non sa dove la porterà il futuro. Ha smesso di fare piani, li lascia al destino!