
Cosa vuol dire vivere in Italia e non essere cittadinƏ ItalianƏ?
Il tema della cittadinanza è delicato, personale e allo stesso tempo pubblico in quanto collegato sia al piano identitario, che a quello dei diritti civili, politici, sociali ed economici di ciascunƏ. Per chi è cittadinƏ di un paese dalla nascita, i diritti che ciò garantisce sono spesso scontati e non ci si chiede cosa possa voler dire non averli. Tuttavia, in Italia, per più di 1 milione di persone definite di seconda generazione i due piani non combaciano rendendo così la questione molto più pratica che ideologica. Come nel caso di Fatima, in Italia dall’età di due anni e tutt’oggi non cittadina italiana anche se per il suo impegno sociale sul territorio, è diventata Cavaliere dell’ordine al merito della Repubblica. La sua, come la storia di tante altre persone nate o cresciute in Italia, è caratterizzata da ostacoli, attese e spese per il rinnovo del permesso di soggiorno – senza il quale non si può circolare e per cui spesso si vive nell’insicurezza di perderlo. Inoltre, se i genitori dovessero perdere il lavoro e di conseguenza il permesso di soggiorno, questo avrebbe delle ricadute su figlƏ che diventerebbero persone irregolari.
Ciò è possibile perché in Italia per essere o diventare cittadinƏ, bisogna o nascere da genitori italiani, o essere discendentƏ di cittadinƏ italiani, come nei casi di Adriana e Giovanna, anche se ciò, paradossalmente, non ha in ogni caso evitato ad entrambe un tortuoso percorso identitario una volta qui. Oppure, se si proviene da paesi al di fuori dell’Europa, lo si può diventare se si soddisfa il criterio residenziale di almeno dieci anni di continua residenza sul territorio. Invece, per bambinƏ e ragazzƏ figlƏ di quest’ultimi, si può fare richiesta di cittadinanza al compimento dei 18 anni di età. E basta? No, bisogna anche avere un certo livello di reddito, quindi una persona senza un lavoro stabile non potrebbe fare richiesta anche se risiede nel paese da moltissimi anni ed è ben integrata nel territorio. Bisogna anche dimostrare di non avere precedenti penali nel proprio paese di origine o in Itala, questo anche se qui si è arrivatƏ da molto piccolƏ. Bisogna aver risieduto ininterrottamente sul territorio e dimostrare di conoscere la lingua e cultura italiana. Il che potrebbe sembrare assurdo dato che questƏ hanno vissuto nel tessuto sociale del paese, e ne hanno frequentato le scuole. Il loro percorso scolastico si differenzia da coetaneƏ però nella consapevolezza di non avere le stesse opportunità nella partecipazione a gite scolastiche all’estero, nell’accesso a progetti di scambio internazionale o a borse di studio. A 18 anni, non hanno il diritto di esprimere la propria opinione votando e durante il proprio percorso universitario non possono partecipare a progetti di scambio come l’Erasmus. Inoltre, spesso, l’impossibilità di partecipare a bandi pubblici condiziona in partenza la scelta del percorso di studi.
Ciò che le persone di seconda generazione vivono sono situazione ingiuste e di disuguaglianza nell’accesso alle opportunità. Storie ed ostacoli che però, rimangono spesso inascoltate. Il tema è poco trattato e spesso viene associato in maniera fuorviante e strumentale a quello dell’immigrazione quando si parla di persone italiane in tutto e per tutto, tranne che per la legge. Ciò è stata definita una discriminazione legalizzata e dimostrata anche dai dati raccolti dal Barometro dell’Odio di Amnesty International, secondo cui così facendo discriminazioni e odio non fanno che aumentare.
Ma, ottenere la cittadinanza è un diritto o un premio? È una questione di fortuna? Bisogna meritarselo?
In Italia il dibattito sul tema è tutt’altro che recente e diverse sono state negli anni le proposte di modifica di una legge anacronista che non rispecchia la realtà demografica e sociale italiana e che crea delle situazioni di incertezza. Ottenere la cittadinanza per chi vive, studia o lavora in Italia da sempre, o quasi, è anche una questione di identità, dignità e appartenenza ad un posto che si definisce casa.
In più, il concetto di “italianità” dovrebbe essere messo in discussione, non a scapito di chi lo è sempre stato da generazioni, ma a favore di chi si sente tale e non lo è. Spesso si chiede a queste persone di essere solo italianƏ quando, oltre ad esserlo, si appartiene anche alla cultura d’origine per cui si parla anche un’altra lingua e se ne conoscono le tradizioni. Una cosa non esclude l’altra e ciò, non far ebbe altro che rispecchiare la realtà e sottolineare la bellezza del mondo vario ed eterogeneo in cui – in ogni caso – viviamo.
La diversità è un valore, non soltanto culturale, ma anche sociale economico e politico, e usando le parole di Fred Kuwornu nel suo documentario “18 Ius Soli” del 2011:
“I così detti ragazzƏ di seconda generazione sono circa 1 milione in Italia e sono un a grande risorsa culturale, artistica, scientifica, di capitale umano e artistico per l’industria o il sistema paese Italia”.
Un cambiamento è necessario per rendere il paese più giusto ed equo davvero per tuttƏ e ciascunƏ può fare la sua parte.
Per approfondire, vi consigliamo la lettura di alcuni articoli e l’ascolto di alcuni podcast che affrontano il tema in maniera critica e dettagliata:
- Movimento Italiani senza cittadinanza
- «Gen Soli – Italiani senza cittadinanza» – Progetto Melting Pot Europa
- Barometro dell’odio – Senza cittadinanza – Amnesty International Italia
- Perché serve una riforma della legge sulla cittadinanza?
- Referendum sulla cittadinanza: riguarda anche i bambini | Save the Children