Tutti noi immigrati siamo una risorsa preziosa sia per i nostri paesi d’origine sia per il paese che ci accoglie
Paula è arrivata in Italia nel 2016. Originaria di Buenos Aires, parla lo spagnolo, l’inglese, il portoghese e l’italiano. Arrivata con un visto di studio, è riuscita ad avere la cittadinanza (iure sanguinis, avendo un bisnonno italiano), ma non il riconoscimento di tutto il suo percorso universitario. Dei sei anni dedicati in Argentina al conseguimento della laurea in Storia e della laurea specialistica in Scienze dell’Educazione, gliene sono stati riconosciuti tre. In Italia ha dovuto frequentare il corso di laurea magistrale in Scienze Storiche, dopo il quale ha avuto accesso al dottorato in Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino.
Il motivo che ha spinto Paula in Italia è stato il desiderio di ricongiungersi al suo compagno argentino, trasferitosi a Torino grazie alla vincita di una borsa di studio. In Argentina lavorava già da cinque anni come docente di storia ed educazione civica; in Italia, dove non pensava di rimanere a lungo, ha iniziato ad insegnare agli italiani lo spagnolo, lingua che le piace parlare.
Nell’ambito del dottorato Paula si occupa di storia dell’educazione. La sua ricerca ha come argomento le scuole italiane fondate in Argentina a metà ‘800 dalle associazioni italiane di mutuo soccorso che si occupavano di dare un’istruzione ai figli dei soci o dipendenti italiani; si concentra sull’arco temporale che va dalla nascita di tali istituti fino alla seconda guerra mondiale, seguendo soprattutto le trasformazioni avvenute durante il ventennio fascista. Tali associazioni erano nate per offrire agli immigrati i servizi che non erano garantiti dallo Stato, come l’istruzione, l’educazione professionale, l’assistenza sanitaria, la previdenza, etc.
Paula è grata di essere in Italia. Dal punto di vista della ricerca scientifica, infatti, ritiene che il nostro Paese investa più dell’Argentina: “A Buenos Aires un docente universitario, con la crisi sociopolitica, non può occuparsi solo di ricerca, deve fare altre attività parallele per arrivare a fine mese”.
Lavora prevalentemente da casa. “Io mi considero privilegiata: come donna straniera in Italia che può svolgere ricerca, nonostante ci siano delle contraddizioni, mi sento fortunata ma allo stesso tempo penso che sarebbe più bello per me poter fare ricerca nel mio Paese”.
Pur percependo la comunità italiana come molto accogliente (le piace molto la cucina nostrana), Paula rimarca le differenze di cultura e tradizione rispetto al suo Paese: “L’approccio nei rapporti umani è molto più rigido e formale rispetto all’Argentina e faccio molta fatica ad adattarmi”. Paula si sente integrata perché lavora all’università, però non riesce ancora a sentirsi a casa. E’ felice di avere imparato una nuova lingua e conosciuto una nuova cultura, ma non nasconde di essere molto legata alla sua città d’origine, di cui sente la mancanza, così come le mancano la famiglia, i parenti e amici, persino il “caos” delle città.
“Migrare non è per tutti, è costoso, faticoso e le pratiche burocratiche sono un incubo”.
Il suo futuro dipenderà dalle opportunità lavorative che si apriranno sia in Italia sia in Argentina. “Tutti noi immigrati siamo una risorsa preziosa sia per i nostri paesi d’origine sia per il paese che ci accoglie”. Fare ricerca in Argentina sarebbe una grande gioia per poter restituire qualcosa al suo Paese, mentre il principale contributo scientifico-culturale che offre all’Italia è costituito dalla sua ricerca, svolta parallelamente sia sulla storia latinoamericana e, in particolare, dell’Argentina, sia, con l’aiuto dei colleghi, sulla storia italiana. Dal confrontro tra queste due conoscenze scaturisce infatti uno scambio culturale proficuo.