“Il mio punto di vista non è al centro del mondo”

Quella di Giovanna e della sua famiglia è una storia di migrazione di andata verso il Brasile, e di ritorno verso l’Italia, a distanza di qualche generazione. E di quest’ultima, ne è stata parte. Nata a San Paolo, ha vissuto all’interno della grande comunità italiana della città di cui ha radici da entrambe le parti della sua famiglia. Il bisnonno paterno, di origini venete, emigrò nel paese all’inizio del ‘900. Il nonno materno, negli anni ’50. Lì conobbe la nonna che proveniva da un paesino della Calabria molto vicino al suo, e da lui prima la mamma e poi Giovanna e i suoi fratelli, ne hanno ereditato la cittadinanza italiana.

Io lo dico sempre che noi non siamo BrasilianƏ. Siamo ItalianƏ, il Brasile ci ha solo accolto”.

In un viaggio in Italia, il nonno materno mostrò i luoghi della sua giovinezza al padre di Giovanna che se ne innamorò. Anni dopo, l’azienda in cui lavorava come ingegnere meccanico – la FIAT – gli propose di trasferirsi a Torino per qualche anno per poi andare a Stoccarda, in Germania. E così, decisero di tornare nel paese da cui tutto era iniziato. “Io avevo 12 anni e i miei fratelli ne avevano 9 e 8. Sono più gli anni che abbiamo vissuto qui, che in Brasile”. Ci volle un po’ per abituarsi al contesto italiano e nella prospettiva del trasferimento in Germania, Giovanna studiò controvoglia il tedesco al liceo, soprattutto per esaudire un desiderio del papà. Ma poi a Stoccarda, decisero di non andarci più. Il periodo liceale la mise a dura prova. CompagnƏ di classe presero di mira le sue origini e Giovanna subì attacchi di bullismo che toccavano tematiche sensibili legate alla sua identità. Ma trovò un modo per sfuggirci e rifugiarsi lontano: l’arte. In biblioteca si immergeva nei libri che studiava e così, riusciva a non pensare a ciò che stava subendo.

“L’arte è sempre stata una medicina per me, un modo per allontanarmi da tutto”.

Finito il liceo, aveva le idee molto chiare sul suo percorso universitario, ma dovette arrivare ad un compromesso con il padre che voleva che almeno unƏ tra lei e i fratelli, studiasse ingegneria. Toccò a lei, ma alle sue condizioni. Studiò architettura, e il giorno dopo la laurea iniziò un master in “Curatela ed Eventi per l’arte Contemporanea” a Roma. In quegli anni, in parallelo allo studio, decise di aprire un blog in cui parlava sia di architettura che di arte che chiamò “the Double Face”, la doppia faccia. Iniziò a voler comprendere più a fondo l’arte brasiliana, e dall’incontro con un curatore d’arte del paese – oggi suo carissimo amico – nacque la rubrica Brazilian Art. Grazie al progetto, iniziò a conoscere diversi artistƏ, comprese l’eterogenea arte contemporanea brasiliana e le sue tradizioni. E così, riscoprì anche una parte di sé stessa e delle sue origini, che prima sentiva molto lontane, e oggi The Double Face si riferisce alle sue doppie radici italo-brasiliane.

Un’ulteriore riflessione sulle sue origini è arrivata con il progetto di turismo responsabile Migrantour, di cui è diventata accompagnatrice interculturale di itinerari urbani, e per cui avrebbe dovuto raccontare di sé. Decise di approfondire un’altra radice della sua famiglia materna, quella arbëreshë. I paesini calabresi di nonnƏ furono fondati nel Medioevo da una popolazione di origine albanese e per secoli ne hanno tramandato lingua, cultura e tradizioni. Oggi, nei suoi Migrantour, mostra le foto di una cugina nel vestito da sposa tradizionale arbëreshë. Attraverso il progetto iniziò comprendere la visione decoloniale della società di artistƏ brasilianƏ e il loro critico allontanamento da ciò che è stato, ed è eurocentrico. Ciò l’ha portata a mettere in discussione le proprie origini e oggi, si definisce “più italiana che altro” conscia di essere parte di “quella comunità di colonizzatorƏ che hanno trovato casa in Brasile”.

Da allora lavora esclusivamente con arte non eurocentricƏ connessa al tema decoloniale o alla migrazione, o con artistƏ che trattano il tema in Europa. Negli anni ha voluto raccontare l’arte contemporanea sudamericana, con un particolare focus su artistƏ brasilianƏ o indigenƏ che oggi, vorrebbe portare in giro per il mondo in modo che possano direttamente raccontare il loro lavoro. Ciò che è fondamentale per lei, è far emergere prospettive diverse da quelle europee che oggi non sono ancora né scontate, né pienamente accettate.

“Il mio punto di vista non è al centro del mondo”.

Frase esemplificativa del suo lavoro, e parte del logo del progetto artistico a cui continua a lavorare, e che graficamente ha rappresentato con un mappamondo al cui centro vi è l’oceano. Oggi cerca di diffondere questi concetti mediante un corso di formazione intitolato Arte al Contrario in cui – a partire dal concetto di decoloniale – affronta il ruolo sconosciuto delle donne nell’arte contemporanea o la necessità di cambiare prospettiva nel modo in cui si vede il mondo. Nell’arte contemporanea la frase “io non la capisco” è comune. È una forma di arte non immediata e per capirla, bisogna analizzare la storia dell’artista come nei casi di due artistƏ che ama, Felix Gonzales Torres e Jaider Esbell. Il primo, nella sua opera Untitled ha utilizzato un cumulo di caramelle per rappresentare e condividere il dolore immenso per la perdita del compagno; il secondo mediante semplici disegni racconta la storia del suo popolo indigeno e della lotta per il proprio territorio. Profondità che non emergono se ci si limita all’osservazione dell’opera. Ha notato una generale mancanza di apertura al cambio di prospettiva nella società italiana, una tematica che affronta soprattutto nei Migrantour che fa con le scolaresche e in cui sottolineano l’importanza di conoscere l’altrƏ prima di giudicare o farsi un’opinione.

“Vorrei fare in modo che l’arte diventasse un ponte per far sì che le persone possano capire il mondo che le circonda”.

Per Giovanna l’arte “da ancora di salvezza, è diventata uno strumento” – per sé stessa in primis – ma anche un mezzo molto semplice che utilizza nelle scuole per affrontare il tema del bullismo, ad esempio, o nelle sue formazioni. Con le sue scelte artistiche, cerca di spronare a conoscere e conoscersi al costo di scandalizzare chi guarda e senza aspettarsi nulla in cambio.

“L’arte è il porto in cui torno sempre ma, attualmente, siamo in un momento di crisi perché o faccio arte, o mangio”.

Nel settore artistico è difficile fare carriera se non si parte da una consistente base economica. E anche se è un’architetta e una curatrice d’arte contemporanea, il suo lavoro principale è in azienda. Ciò la intristisce, ma i suoi corsi al contrario le danno energia. Trasmette le origini brasiliane a sua figlia che ne è fiera e molto curiosa ma che non ha diritto alla seconda cittadinanza brasiliana. Oggi in Brasile non ci tornerebbe a vivere, e tutte le volte che vi fa ritorno passa il tempo con la famiglia, spesso in campagna. Non sa cosa voglia dire vivere in una megalopoli come San Paolo e del paese può raccontare ciò che vive “ma è talmente chiuso in una bolla che è difficile”