
“Non avrei mai pensato che ciò che credevo fosse un mio grande difetto, oggi potesse essere ciò di cui vado più orgogliosa”
Per Fatima ci sono voluti anni per accettare la sua identità, le contraddizioni che la circondano e la sensazione di non essere compresa che l’ha accompagnata a lungo e che è stata caratterizzato da molte domande a cui nessunƏ, per molto, ha saputo dare una risposta. Nata in Marocco, ha vissuto a Khouribga solo per i suoi primi due anni, successivamente la mamma decise di trasferirsi a Torino per dare a Fatima e la sorella una vita diversa da quella che aveva vissuto lei, e un futuro più bello. Qui Fatima è cresciuta nel quartiere di Porta Palazzo, il cui nome racchiude in sé l’insieme di tutte le culture che lo abitano e attraversano e, la relativa vicinanza del Marocco all’Italia, ha fatto sì che potessero tornarci spesso.
“Questa è la fortuna di tantƏ ragazzƏ della mia età che hanno origini marocchine e per cui è difficile perdere completamente i rapporti con il paese, la cultura e l’identità”.
Fatima è parte di quel milione di ragazzƏ che vengono definitƏ di “seconda generazione”, ovvero coloro che sono natƏ in Italia o sono arrivatƏ qui da piccolƏ, e che hanno genitori non italiani. Secondo Fatima, più che di una generazione si tratta di una condizione comune che porta ad attraversare una crisi identitaria sin da piccolƏ che spesso, esplode nel periodo dell’adolescenza. Vivere e frequentare le scuole elementari e medie nei quartieri di Porta Palazzo, Aurora e Barriera di Milano, quartieri multiculturali della città, ha fatto sì che crescesse nella consapevolezza della sua identità – tra compagnƏ questa era “uno struggle comune” – e fu al liceo che molto cambiò. Per la prima volta frequentò una scuola al di fuori di questi quartieri e divenne in pochissimo la figlia di immigratƏ che avrebbe creato disordini e in lei, iniziò ad emergere un profondo dramma esistenziale e una grande solitudine. Al tempo, non riusciva a parlare del suo sentirsi diversa a scuola e in più, ragazzƏ come lei sopprimevano la propria identità così tanto che si sentiva lei a disagio nel non farlo.
“Ho dovuto comprendere come vendermi e come essere, e quanto di me veramente la gente voleva sapere e quanto di loro rispecchiato in me, volevano vedere”.
Ha patito molto quegli anni caratterizzati da molte domande sulle sue origini, e da quel sentimento di diversità che fino ad allora non era mai stato un problema. Sentì di doversi assimilare, ma non riuscì mai a sopprimere la sua identità e questo scontro determinò in lei un forte disagio interno che si tramutò in rabbia. Divenne una ragazzina ribelle, litigava molto e questo era per lei un modo per esprimere ciò che provava. Fatima è convinta che questa fase sia un momento di grande solitudine “che è importantissimo e prezioso, ma molto delicato, e in cui è importante essere accompagnatƏ da qualcunƏ che ti faccia vedere e toccare le opportunità che ci sono”. Lei ha avuto questa fortuna frequentando il SERMIG in cui, grazie ad un’educatrice, capì che stava cambiando e il malessere che stava vivendo e deviò il suo percorso. Al tempo non credeva che dopo il liceo avrebbe continuato i suoi studi, ma una professoressa la spronò a fare domanda per il Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico, vicino Trieste. Una scuola aperta a ragazzƏ di 17 anni di tutto il mondo che vuole far riflettere sul tema della pace e in cui, venne presa. Questo percorso determinò un importante svolta nella sua vita. Lì dovevano pensare a come cambiare il mondo, lo studio era importante assieme all’organizzazione di un progetto sociale che Fatima organizzò a Baja Mare, in Romania, dove lavorarono su progetto di scolarizzazione per bambinƏ di strada che vivevano gravi situazioni di povertà, violenza e disagio. Un’esperienza molto forte che la aiutò a relativizzare. Ottenne il suo diploma internazionale nel 2019 e capì di voler continuare a studiare. Si iscrive al corso di laurea triennale in Global Law and Transnational Legal Studies e successivamente alla magistrale in International Security Studies. Qui ha analizzato l’evoluzione del concetto di minaccia nel tempo che oggi è caratterizzato da paure astratte, come il cambiamento climatico e il fenomeno migratorio. Quest’ultimo è diventato l’argomento della sua tesi, assieme al dibattito sulla securitizzazione dell’identità e sugli effetti che questo ha sulle seconde generazioni chiedendosi cosa voglia dire essere “figlƏ di una minaccia. Proponi un trend che tuttƏ pensano che tu abbia nel sangue o provi a riscattarlo? Ti riscatti per te o per smentire tutto ciò?”. Secondo Fatima, ragazzƏ di seconda generazione come lei sono molto vulnerabili. Si vive in una società che continua a considerarti diversƏ anche dopo aver frequentato tutte le scuole in Italia, e in cui quando si parla di identità, si fa ancora un focus estremo sull’etnia, la religione o la nazionalità – quando questa è fatta di una mosaicità di elementi. Fatima, quando pensa alla sua identità, non può non pensare al dibattito sulla cittadinanza. Solo di recente ha fatto quello switch che le ha permesso di accettare di essere sia marocchina che italiana, e se questo è stato un passo molto importante per lei, va in contrasto con la richiesta di affermare di essere italianƏ al 100%.
“E questa, è una grande bugia. Ho imparato a dire che sono italiana, marocchina, italo-marocchina e soprattutto che sono 24 anni di tutto questo, e sono io”.
La sua identità è composta da tanti aspetti che non si possono né dividere, né semplificare come il suo percorso di vita in Italia vivendo a Porta Palazzo al fianco di tante nazionalità o l’essere marocchina attraverso ciò che la mamma le ha raccontato sin da piccola, l’Islam che vive durante il Ramadan, la conoscenza dell’arabo e il riunirsi il venerdì per mangiare il cous cous. Fatima si rispecchia in quel dibattito sulla cittadinanza che va oltre la duplice identità legata alle sue origini e che invece ne accoglie spigolosità, individualità e specificità. E al momento, anche se in Italia da quando aveva due anni, non possiede ancora i requisiti per poterne fare richiesta e ciò determina – per tuttƏ coloro nella sua situazione – una disuguaglianza nell’accesso alle opportunità, e una situazione “oggettivamente ingiusta”. Oggi, in collaborazione con l’UNICEF, fa sensibilizzazione nelle scuole del quartiere sul tema e nel 2019 ha fondato un doposcuola nel cuore di Porta Palazzo che vuole far sì che coloro che vivono ciò che lei ha vissuto, possano vedere quelle opportunità che anche lei un tempo non vedeva. E per questo, è stata inaspettatamente premiata. Nel 2023 è diventata Cavaliere dell’ordine al merito della Repubblica, un premio consegnatogli dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per il suo impegno nel quartiere.
“Il doposcuola vuole creare un senso di appartenenza al quartiere, alla città e al paese e far ragionare bambinƏ sulla loro identità e sulle loro possibilità e potenzialità. E così, rompere il più possibile quegli stereotipi in cui sono incastrati sin dall’asilo”.
Recarsi a Roma con la mamma e la zia è stata un’emozione grandissima e un momento di forte orgoglio. Oggi Fatima pensa a come trasformare il doposcuola in un’associazione che metta al primo posto tuttƏ coloro che lo frequentano ed è grata alla mamma per aver tenuto sempre vivo in lei un ponte con il Marocco. Così da poter rivendicare le sue origini oggi, che se un tempo l’hanno fatta stare molto male, oggi è proprio ciò che la fa stare più bene. E con questa consapevolezza, crede di aver raggiunto un piccolo obiettivo di vita.