Non so se sono la persona giusta da usare come punto di riferimento, ma almeno posso farti pensare che sia possibile. Chiunque può arrivare dove sono arrivata io
Alejandra crede che nella vita si debba credere in ciò che si desidera e lavorare sodo, ma che sia altrettanto importante avere un pizzico di fortuna nell’incontrare le persone giuste sulla propria strada. Lei è di La Paz, una città viva, caotica, in cui precarietà e difficoltà sono all’ordine del giorno, assieme però, a una grande morbidezza nell’affrontare le situazioni da parte delle persone, un modo di fare boliviano che fa sì che tutto sia più gestibile e sereno.
Per un paese come la Bolivia, essere donna ed occuparsi di scienza è qualcosa ancora oggi di inconsueto. Laureata nel 2005 in Fisica, fu una delle poche ragazze a laurearsi e a voler continuare la sua formazione all’estero e la coincidenza ha voluto che un professore della sua università, il professor Oscar Saavedra, insegnava e faceva ricerca all’estero, presso l’università di Torino. Primo boliviano ad essersi laureato in fisica, ha raggiunto l’Italia attraversando l’Atlantico in nave viaggiando per tre mesi non potendosi permettere il costo dell’aereo. Insomma, “quando si vuole davvero qualcosa, si fa di tutto per ottenerla” e alla prima occasione, andò a parlarci. Lui si occupava di raggi cosmici mentre lei era interessata alla fisica medica. Pur non avendo interesse nello stesso campo di specializzazione, la mise in contatto con professor3 di Torino e così ottenne una borsa di studio per il suo dottorato. Grazie ad un accordo di ricerca tra l’università di La Paz e Torino, il suo titolo di studio venne facilmente riconosciuto e altrettanto semplice fu l’ottenimento del visto. Al contrario, il rinnovo annuale del permesso di soggiorno in Italia fu stressante dovendo presentare la documentazione circa un anno prima della sua scadenza.
“È stata un po’ fortuna e un po’ determinazione, no? Se non fossi andata a parlare con lui, non avrebbe fatto nulla per me. Nessuno fa qualcosa se non si dice niente”.
Alejandra scelse il dottorato in fisica medica per una ragione molto personale, anni prima perse la nonna a causa di un cancro e da quel momento decise che avrebbe voluto lavorare nel settore. In Italia, ha incontrato una seconda persona molto importante, diventata poi una figura di riferimento nel suo percorso di vita: il suo supervisore italiano.
Il suo tema di ricerca principale è stata la caratterizzazione delle camere di rilevatori che si utilizzano nell’adronterapia, la radioterapia fatta con particelle di adroni. Alejandra al tempo notò che in Italia vi erano meno risorse per la ricerca rispetto agli altri paesi europei, ma ciò che l’ha colpita è che “lì la gente si fa da sola, cerca di fare le cose al miglior modo possibile con mezzi e metodi alternativi, e ci riesce!”. Il suo supervisore, in particolare, faceva in modo di trovare risorse ovunque e ha garantito a ognun3 di loro ciò di cui avevano bisogno per la ricerca, per gli scambi con altre università e li ha anche aiutat3 ad andare oltre. Alejandra porta nel cuore il professore, il suo gruppo di lavoro e l’Italia che associa ad un’idea di libertà.
“Il mio periodo di dottorato è stato un momento trascendentale della mia vita, mi ha aperto le porte del mondo. La gente mi ha sempre apprezzata per chi sono e non da dove vengo. Mi hanno vista come una persona di valore che porta un granello di sabbia nella società come individuo”.
Ha adorato le persone e la cultura italiana, la celebrazione del cibo, si è sentita parte della società e ha avuto al tempo solo ragioni per essere grata alla vita “ma non era un dolce far niente”, lavorava e adorava ciò che faceva e in Italia ha anche conosciuto colui che poi sarebbe diventato suo marito. Lui, tedesco, ha determinato una dolce deviazione nel suo percorso e, da non sapere dove la vita l’avrebbe portata, Alejandra iniziò il suo percorso lavorativo in Germania grazie al lavoro di rete portato avanti dal suo supervisore italiano.
Ha lavorato come ingegnera presso la “Varian a Siemens Healthineers company” per un anno con gli acceleratori per la cura del cancro e le camere utilizzate per la protonterapia che doveva sviluppare, smontare, testare e analizzare. Successivamente si trasferì in Svizzera, e dopo un anno di tirocinio presso l’ospedale di Lucerna come fisica medica focalizzandosi nell’ambito della terapia con fotoni, si aprì una nuova strada davanti a lei. Ha lavorato per diversi anni nel customer service dell’azienda e in particolare all’help desk per risolvere problemi riguardanti la gestione dei software dei clienti di tutta EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa e India) e ha viaggiato moltissimo per svolgere training in più di 50 ospedali in tutta Europa e non solo. Grazie al suo lavoro in ospedale, riusciva a capire le problematiche di medic3 e ha potuto finalmente usufruire della conoscenza delle sue sei lingue. In più, essere una persona migrante le ha dato il vantaggio di capire come pensa l’altr3 e di poterl3 aiutare maggiormente. Secondo Alejandra, una persona migrante deve prestare più attenzione nella comprensione del sistema e della lingua, può essere stressante a volte, ma quando vedi che le persone attorno a te non riescono a pensare fuori dagli schemi, capisci che la diversità culturale ti aiuta.
“Quando sei natə in un pool di argento non vedi altro. Invece, se non hai avuto questa fortuna, capisci molto di più il percorso che si deve fare e quanto costa ottenere ciò che si vuole”.
Successivamente si è occupata della gestione di gare per l’acquisizione di apparecchiature mediche da parte di ospedali e medic3. Attualmente invece, lavora in Germania presso la Siemens Helthineers come “Global Product Marketing Manager” per quanto riguarda la radioterapia guidata dalle immagini, tecnica avanzata e più precisa. Si occupa del prodotto in maniera globale e deve comprendere le capacità tecniche e cliniche da un lato, e la strategia di marketing adeguata dall’altro. A questo proposito, ha recentemente conseguito anche un master in “Brand Marketing Management” che le è molto utile nel suo lavoro: quando un prodotto funziona, vuole che le persone lo sappiano perché solo in questo modo la tecnologia può andare avanti. Allo stesso tempo, si chiede come poter parlare a persone di paesi come la Bolivia di tecnologie a cui hanno un limitato accesso.
Al momento abita a Forchheim, assieme alla sua famiglia ed è in possesso di un permesso che dipende direttamente dal lavoro che svolge, la “carta blu”. Questa viene concessa a lavorator3 altamente qualificat3 e l’azienda per la quale si lavora deve dimostrare di aver cercato molteplici persone tedesche e di non aver trovato nessun3 che avrebbe potuto fare il suo lavoro. Nel suo percorso professionale, si è occupata quasi di tutto ciò che riguarda la tecnologia medica, dalla ricerca, al processo di lavorazione, installazione e studio del prodotto, alla sua conoscenza dal punto di vista del cliente.
“Insomma, io credo che per questa ragione non ci fosse una persona tedesca che poteva fare il mio lavoro nel modo in cui avrei potuto farlo io. Pensarla così mi ha aiutata”.
Della Bolivia, oltre alla sua famiglia, le manca la spontaneità delle persone, l’improvvisazione, il ballo e la festa, due aspetti che viaggiano assieme e fanno sempre parte del modo di vivere della gente. Ciò che le è sempre mancato nella vita è una figura femminile a cui guardare che, come lei, abbia deciso di occuparsi di scienza al di fuori del proprio paese. Per questo, ogni volta che vi fa ritorno, ci tiene a condividere le sue esperienze soprattutto con le studentesse in modo che possano essere d’esempio. Essere una fisica è ancora qualcosa di particolare in Bolivia e al contrario lei vuole normalizzarne il lavoro, i ruoli femminili e sottolinearne la versatilità.