“Ciò che sto imparando qui è che unire culture diverse è fantastico”

A volte le occasioni bisogna prenderle al volo, così come arrivano, un po’ come ha fatto Claudia che mai si sarebbe immaginata di considerare New York come la sua nuova casa. Lei che nata a Palmi, comune parte della città metropolitana di Reggio Calabria, ha studiato Informatica sia in triennale che magistrale a Cosenza. Mediante progetti universitari ha capito che avrebbe voluto continuare ad approfondire la sua formazione mediante un dottorato fatto a Torino in Modelli di Calcolo Parallelo e Distribuito. Al secondo anno, ha avuto la possibilità di fare uno stage presso IBM Ricerca, importante azienda nel campo informatico nello stato di New York in cui ha lavorato sulla Big Data Analytics e da cui, durante il suo ultimo anno, ha ricevuto un’importante offerta di lavoro.  

“Molte cose si sono incastrate e sono arrivate nel momento giusto, io non sapevo neanche dell’esistenza di questi stage in azienda, figurati in America. Era l’ultimo di mille pensieri, ed è successo”.

Così, dal non aver mai pensato di lasciare l’Italia, Claudia si è trasferita nello stato di New York nel 2017. Trasferirsi non è stato un grande shock culturale, abita nella parte più eterogenea ed europea dello stato, che è così grande che si può guidare per sei ore di fila senza mai uscirne. Per essere liberƏ di andare dove si vuole la patente è essenziale, “è una nazione che viaggia su strada” ma ciò non vale per New York City (NYC), un mondo a parte che, secondo lei, vale la pena visitare almeno una volta nella vita. Negli Stati Uniti, i centri di ricerca nazionali sono spesso costruiti in posti molto isolati per motivi di sicurezza, come il suo, anche se si sente fortunata a lavorare e abitare a mezz’ora di distanza da NYC. Dove, vi è anche uno degli uffici in cui a volte lavora e che si trova proprio davanti ad Eataly, dove la pausa caffè all’italiana e d’obbligo per lei. Presso IBM Ricerca, si occupa di fare Cloud Computing per l’AI (Artificial Intelligence) e tutto ciò che rientra nel middleware. “Cloud e AI sono le cose più importanti a livello tecnologico in questo momento storico”, e si occupa di lavorare su macchine e software, sulla creazione di piattaforme e sull’ottimizzazione di tools utili per l’utilizzo dell’AI da parte di clienti. Negli ultimi due anni si è anche occupata di fare ricerca applicata per far sì che quest’ultimƏ possano sempre avere strumenti di ultima generazione e in questo momento della sua carriera, vorrebbe fornire sistemi avanzati nel campo della Telemetry e Observability. Un’area di studio che punta a fornire la piena visibilità di ciò che accade sulle macchine a chiunque le usi.

“Dall’hardware all’utente che chatta con l’IA, la quantità di cose che possono andare storte è infinita. E più si guarda, più cose accadono”.

Dietro l’IA vi è un enorme lavoro, “la persona che usa chat GPT vede solo la punta dell’iceberg”, e questo è proprio ciò che la entusiasma, diverte e incuriosisce maggiormente. Inoltre, in una collaborazione con Stonybrook University, stanno cercando di costruire modelli per la previsione di futuri disastri basati su Telemetry collezionata da hardware e software.

Negli Stati Uniti, “vivere senza un lavoro è impossibile”, sia per un aspetto economico, che legale. Inizialmente IBM ha sponsorizzato per lei un visto temporaneo da ricercatrice in visita che ogni anno ha dovuto rinnovare vivendo nel timore che, per qualsiasi motivo, non si sarebbe qualificata per ottenerlo. Lavorando come ricercatrice in un’azienda informatica, l’unico modo per poter fare domanda per il visto o la green card – un visto permanente – è come “Outstanding Researcher”, una ricercatrice eccezionale il cui lavoro potrebbe far avanzare gli Stati Uniti. Qualcosa, che va dimostrato. Negli anni, ha continuamente pensato a cosa le convenisse fare per dimostrare il suo contributo nella ricerca come la continua pubblicazione di articoli di alto livello, la partecipazione a conferenze o l’essere nel Program Committee di quest’ultime, e la revisione di articoli.

“Il processo di rinnovo è uno stress allucinante. La tua vita si concentra su cosa bisogna fare per qualificarsi per un visto che scadrà dopo un anno”.

Una preoccupazione che è aumentata esponenzialmente nel momento della richiesta della green card. Un processo complicato per cui l’aiuto di avvocatƏ è essenziale per collezionare tutto ciò fatto da lei fino ad allora e per la stesura del rapporto in cui spiega la propria attività di ricerca e il suo impatto. Ha dovuto chiedere delle lettere di referenza e il tutto è stato presentato all’Ufficio Immigrazione. “Fare tutta la procedura di richiesta è un male mentale”, delle volte ha pensato di lasciar stare, ma dopo un anno e migliaia di dollari, è risultata essere una buona candidata.

“Ho ottenuto la green card e una quantità gigantesca di stress è andata via per sempre. Ora posso lavorare tranquilla senza la paura di dovermene andare via”.

Oggi Claudia si ritiene privilegiata. Anche se la difficoltà nel fare domanda per il visto è la stessa per tuttƏ, l’essere italiana le ha permesso di essere inserita in liste d’attesa molto più veloci rispetto ad altri paesi quali l’India o la Cina. Per cui, invece, ci vogliono anni.  

“Io adesso sono un’immigrata, e capisco meglio lo stato d’animo delle persone che da fuori vanno in Italia e lo stress mentale nel pensare di doversene andare via”.

Altro aspetto importante negli Stati Uniti è l’assicurazione sanitaria che è costosa e dipende dal proprio contratto di lavoro. Di gratuito vi è molto poco, e anche se si ha una buona copertura sanitaria come la sua, è molto facile spendere diverse migliaia di dollari per delle visite. Tuttavia, a differenza dell’Italia in cui ci sono lunghe attese per le visite mediche, la grande quantità di strutture sanitarie presenti le permette di trovare posto facilmente. Lì, le procedure burocratiche sono in generale molto complesse, ha tuttora il dubbio di sbagliare, e così diventa un momento collettivo capirle assieme a colleghƏ e amicƏ nella stessa situazione, “un’esperienza che ti rende umile”. In piú, ha notato che nei loro confronti, e nei suoi, le persone statunitensi sono molto accoglienti. Sarà che non vi è la barriera linguistica iniziale che invece in Italia è presente, o l’abitudine a sentire accenti diversi, ma si fa sempre di tutto per far sentire a casa coloro che sono appena arrivatə.

“Ciò che sto imparando qui è che unire culture diverse è fantastico”.

Da italiana, ha un trattamento preferenziale dato dalla curiosità e l’amore spropositato che si ha per l’Italia, soprattutto da parte delle persone italo-americane. “Loro hanno questa cosa dell’essere italianƏ che noi non abbiamo, lo sentono proprio”, ed è per lei molto bello. Dell’Italia le mancano le piccole cose tipiche del vivere italiano, come prendere il caffè al bancone e il cibo, che non differenzia più tra quello del Nord o del Sud, è tutto buonissimo.

La sua attività di ricerca, per la quantità di finanziamenti privati, non può essere comparata a quella universitaria sia negli Stati Uniti che in Italia dove non crede che potrebbe fare lo stesso lavoro. Ormai, si è adattata allo stile di vita americano e si sente molto fortunata per ciò che le sta dando la vita e che mai, si sarebbe immaginata prima.  

“Ora quando dico che torno a casa, io torno qua, non a Palmi. E quando sono in vacanza in Italia e penso che vorrei tornare a casa, torno qui negli Stati Uniti”.