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Kashmir, una regione contesa tra Pakistan, India e Cina?
Di solito, in una delle prime lezioni di un corso di “Relazioni Internazionali”, si ragiona su quali siano le differenze teoriche tra Stato e Nazione. Spesso la seconda viene definita come un’unità etnico-culturale a cui mancano le caratteristiche tipiche dello stato quali l’organizzazione politica del popolo e l’essere un ente sovrano. Spesso però, confini imposti in maniera unilaterale dalle potenze coloniali, rivendicazioni dalle radici storiche e interessi di diverso tipo determinano il fatto che queste condizioni non possano affermarsi, assieme all’identità e libertà di interi popoli. Ad oggi al mondo esistono ancora diverse regioni che non vengono riconosciute come autonome e indipendenti e che anzi, sono al centro di violente dispute territoriali che determinano quotidiane violazioni de diritti umani, conflitti politici e militari che si protraggono pet decenni. Il Kashmir è una di queste aree, e una delle zone maggiormente militarizzate al mondo.
Per comprenderne la storia del Kashmir vi è il bisogno di fare un salto nel passato, esattamente al 1846. All’epoca il Kashmir faceva parte di quello che era denominato il “regno dell’Himalaya” e che durante l’impero britannico in India veniva utilizzato come strategica zona cuscinetto di distacco con l’impero russo e cinese. Questa era una regione con una maggioranza di persone di fede musulmana, ma che ha vissuto per secoli fianco a fianco di persone Hindu o Sikh appartenenti a diverse etnie sviluppando nel tempo una propria distinta identità sociale, culturale e politica.
Altra data importante è il 1947, anno in cui l’India ottenne l’indipendenza dalla potenza britannica, nacque il Pakistan – la “terra delle persone musulmane d’India” – e iniziarono le mire espansionistiche di entrambi gli stati che rivendicavano e rivendicano tutt’oggi la piena sovranità sul Kashmir. Quando nel 1947, il Maharaja che la governava decise di cederne parte della sovranità all’India, violente proteste e scontri di frontiera ebbero inizio fino a trasformarsi in una vera e propria guerra con l’entrata del Pakistan nel conflitto. Migliaia furono le vittime e si arrivò alla divisione della regione in quelle che sono le due aree odierne di cui una è sotto il controllo del Pakistan – l’Azad Kashmir – e l’altra sotto quello dell’India – il Jammu e Kashmir.
Ma negli anni ’50, un altro stato limitrofo iniziò le sue mire espansionistiche nella regione, la Cina. Questa si espanse nella regione dell’Aksai Chin, un’area montana e prettamente disabitata ma ricca di valichi strategici per il collegamento, mediante strade militari, del Tibet e la regione cinese dello Xinjiang. Nel 1962 vi fu la prima guerra sino-indiana che terminò con irrisolte dispute di confine e il controllo della Cina sull’area. L’India ne rivendica tutt’oggi la sovranità.
Un altro importante conflitto seguì nel 1965 e fu il Pakistan ad attaccare. Il conflitto fu durissimo e finì con la sconfitta del Pakistan e il ritorno alla così detta “linea di controllo” che divide le due regioni e che non è un confine internazionalmente riconosciuto. Entrambi gli stati iniziarono a finanziare una guerriglia di frontiera nelle rispettive regioni. Le tensioni non si spensero mai del tutto fino ad arrivare alla “Guerra del Kargil” del 1999 e continuare poi. Le tensioni rimangono altissime con violazioni dei rispettivi spazi territoriali continue e l’inasprimento anche delle relazioni tra persone Hindu e Musulmane in quanto i due stati hanno iniziato a farne una questione etno-nazionalista e religiosa. L’unica opzione chiesta e rivendicata dal popolo kashmiro non è mai stata presa in considerazione da entrambe le parti: l’indipendenza.
La situazione oggi? La sovranità di entrambi gli stati è continuamente contesa dall’alta e contestata dal basso, da una popolazione ormai stanca di dover subire violenze e violazioni dei propri diritti, a livello quotidiano, da parte di entrambi gli eserciti. Nel tempo sono nati movimenti di resistenza e ribellione, diversi in base al lato del confine.
Nel Jammu e Kashmir nel 2008 vi fu un apparente distesa dei rapporti con l’apertura di una via commerciale, per la prima volta in 60 anni, ma le proteste si inasprirono e ci furono diversi momenti di alta crisi. In quegli anni vi fu una vera e propria lotta armata, il governo indiano impose il coprifuoco, e le violenze si inasprirono nei confronti della popolazione civile. In più, solo nel 2019 il governo indiano ha cancellato l’articolo 370 della costituzione che garantiva alla regione lo status di regione autonoma con la possibilità di legiferare autonomamente. La rabbia nei confronti del governo Indiano aumentò esponenzialmente e questo inasprì le misure. Limitarono la stampa e il lavoro di giornalist3 e a funzionar3 governativ3 venne data l’autorità di esaminare e censurare i contenuti. Secondo Amnesty International, la repressione è alta nei confronti di giornalist3 e attivist3 per i diritti umani, in più sono stati imposti divieti di viaggio, la revoca di passaporti e detenzioni arbitrarie delle persone Kashmire anche in lontane prigioni indiane. L’esercito indiano iniziò a godere di sempre più poteri. Nel 2024 vennero indette le prime elezioni libere dopo dieci anni, l’affluenza fu tanta e mirava a prevenire il prevalere di partiti nazionalisti indiani e rivendicare soluzioni a problemi della quale sicuramente questo non si stava occupando quali l’alto tasso di disoccupazione, l’uso di droghe e l’alto prezzo della farina e dell’elettricità.
L’Azad Kashmir, l’area sotto il controllo del Pakistan, la popolazione è soggetta a leggi che limitano la libertà di espressione. I media hanno bisogno di un permesso ufficiale per operare e le notizie ufficiali non si discostano dal punto di vista pakistano secondo cui gli abitanti dell’intero Kashmir vorrebbero aderire al Pakistan. Molti giornali non hanno una presenza su Internet, le pubblicazioni sono sporadiche e nessun media straniero può operare nella regione senza il previo permesso del Pakistan. Le proteste sono all’ordine del giorno anche da questa parte del confine, assieme alla repressione delle forze paramilitari. Tuttavia, le rivendicazioni non sono solo politiche. La popolazione rivendica sussidi per la farina e l’elettricità i cui costi sono aumentati soprattutto a causa della crisi del grano del maggio 2023. Si chiede al governo di ridurre le spese lussuose relative ai funzionari, e una migliore integrazione finanziaria con il resto del Pakistan. Il governo sembra aver accettato le richieste, tranne la riduzione dei prezzi dell’elettricità anche se secondo il popolo questa non dovrebbe avere un costo in quanto viene prodotta localmente, attraverso la diga di Mangla. A manifestazioni pacifiche il governo pakistano ha risposto con violenza dispiegando un numero sempre più alto di forze paramilitari. Violenti sono stati gli scontri e molteplici gli arresti. Durante tutta questa fase, è stata imposta la sospensione parziale di internet in alcune regioni. Le persone hanno iniziato ad usare i social media per diffondere le informazioni e condannare il governo assieme ai pulpiti delle moschee.
Nell’area dell’Aksai Chin, le persone indiane non sono ammesse ed è una zona off-limits per il turismo. Tuttavia, è anche una zona ricca di minerali e una delle aree con il più grande deposito di metalli dell’Asia e vi sono notevoli riserve di zinco e piombo di alta qualità. Cina e Pakistan hanno forti legami militari che mirano a contrastare l’influenza regionale indiana e americana e la Cina ne sostiene la sovranità e l’integrità territoriale. Le schermaglie di confine sono ripetute e le notizie di incursioni cinesi in territorio indiano sono frequenti.
Tutte queste dinamiche politiche determinano il fatto che, da entrambe le parti, non vi sono veri investimenti a tutela della popolazione nel campo delle infrastrutture, dell’educazione o del sistema sanitario e il tasso di disoccupazione nelle regioni è molto alto.
L’informazione sul Kashmir da parte dei media di entrambe le parti è profondamente politicizzata e riflette la tensione tra i due Paesi. I media nel Jammu e Kashmir sono generalmente divisi tra pro e anti secessionisti, giornalist3 locali lavorano sotto stretto coprifuoco e subiscono minacce dei gruppi militanti. L’accesso a Internet è sporadico e i servizi di messaggistica sono regolarmente bloccati. Nell’Azad Kashmir, i media sono utilizzati principalmente per scopi propagandistici, soprattutto per evidenziare le presunte violazioni dei diritti umani dall’altra parte.
Nel frattempo, la popolazione continua a pagarne le conseguenze, sparizioni, arresti e torture di coloro che si oppongono sono all’ordine del giorno ma, anche se emarginata e silenziata da decenni di violenza, l’identità kashmira esiste tutt’oggi e continua a resistere.